IL VERMENTINO

Vermentino: il suono è dolce, e di accattivante musicalità. Potrebbe essere il nome di uno gnomo, del fiabesco e simpatico protagonista di una delle tante,
indimenticabili storie della nostra infanzia. Invece,si chiama così l’uva dorata, talvolta con riflessi vermigli, che dà origine ad un vino pieno di grazia nel bouquet e nel sapore. Si possono raccogliere i fiori, sull’ immaginifico prato del suo profumo. Si avvertono inoltre palpabili sentori di frutti freschi, fino ad arrivare, con più che gradevole soddisfazione, a chiudere il caratteristico spettro organolettico, alla gentile ed inestinguibile presenza della mandorla. Un bianco unico: di straordinaria ed inequivocabile identità le sue uve, di conseguenza, determinano il carattere dei prodotti della loro promiscuità, come nel caso del Cinque Terre Bianco, nel quale si uniscono al bosco e all’albarola. La Liguria, la costa della Maremma, in Toscana, la Sardegna. Ma anche la Corsica, la Francia meridionale e la Spagna. Presto, magari, ci sarà anche un Vermentino di Sicilia, dove da tempo sono avviati con risultati lusinghieri speciali campi sperimentali. Il Vermentino danza intorno al mare, sulle campagne e le colline lambite dai sussurri salsati delle brezze sospinte dalle onde. Il mare è il Mediterraneo, il bacino che ha dato vita alla nostra ultramillenaria civiltà, il vino, così, rappresenta il simbolo della nostra storia. I sali marini condiscono e rifiniscono il capolavoro degli specifici microclimi per determinare le infinite sfaccettature del Vermentino, che mai è lo stesso, pur restando, i suoi tratti più significativi, nell’ambito di una chiara dimensione gustativa. La Riviera di Ponente, i Colli di Luni, Bolgheri, la Gallura e Patrimonio: il confronto attento e partecipe è capace di dischiudere sostanziose sensazioni gustative. Il Vermentino è così: elegante sempre, talvolta raffinato; però mai stucchevole. Di vivace duttilità, forse più di quanto si verifichi con tanti altri vitigni a bacca bianca.Queste sono le risorse che hanno indotto parecchi studiosi a considerarlo una sorta di Sauvignon italiano. Lo sappiamo: il Sauvignon e lo Chardonnay sono definiti “internazionali” per la loro ampia diffusione, resa possibile dalle notevoli capacità di adattamento
nelle varie situazioni geografiche. Tuttavia, che cosa ha da invidiare il Vermentino? La prova del palato è lampante: nessuna nel Tigullio, a Levanto, a Fosdinovo, Sarzana, Castelnuovo Magra, Ortonovo, nel Candia e
sulle Isole il Vermentino diventa il segnale indicatore di un ambiente tutelato dalla consapevole presenza dell’uomo che tra le vigne ha inteso mettere le radici profonde dei suoi affetti. I nuraghi in Sardegna, le grotte preistoriche a Toirano, i siti archeologici a Luni e ad Aleria, borghi medievali sugli acclivi: le vicende susseguitesi nel corso dei secoli sembrano emblemati camente ripetersi in maniera molto simile, sia pure in paesi lontani. Ovunque, accanto alla pieve, al castello, alla dimora signorile, alla residenza di mare, risulta
ben visibile la rassicurante coltivazione di una vigna. “E’ la Liguria una terra leggiadra.. reca messaggi il vento..”. I versi della struggente poesia di Vincenzo
Cardarelli si sofferma inoltre sui “pampini rossi”. L’arco formato dalle due riviere sembra voler abbracciare idealmente tutto il Mediterraneo del Vermentino per catalizzarne l’attenzione. È in Liguria, per altro, che già nel corso dell’800, in particolare a Savona, i primi comizi agrari sottolineavano l’opportunità di coltivare soprattutto il Vermentino, studiato a lungo da Giorgio Gallesio nella sua “Pomona Italiana”. La lungimiranza di allora ha dato frutti importanti, evidentemente. Il vitigno si è diffuso indistintamente da Ventimiglia a Luni, sulle caratteristiche “fasce” o sulle “terrazze” aperte sui suggestivi orizzonti marini. In purezza, nella provincia della Spezia, è stato felicemente concepito da un’intuizione recente. Messa a punto nei primi anni Ottanta e realizzata nel 1989 con la D.o.c Colli di Luni, comprendente anche tre comuni posti in provincia di Massa-Carrara. In principio, tutto poteva apparire una sorta di appagamento di un hobby. I produttori erano pochissimi e nelle superfici vitate dominava una casuale mescolanza di varietà le più disparate. In vent’anni, la rivoluzione tuttora ininterrotta ha provo cato sensibili cambiamenti. Il numero delle aziende, già abbastanza elevato, è destinato a crescere ancora in coincidenza con il recupero di terreni incolti e con
la loro trasformazione sulle stesse alture circostanti il centro cittadino della Spezia. Vent’anni, quattro lustri: una vita. Un periodo veramente intenso, per l’aspetto socioeconomico e significativo per le prospettive per la comunità. Il Vermentino, infatti, è diventato l’oggetto dell’attenzione di numerosi giovani per trovare un’adeguata fonte di reddito contando sul proprio entusiasmo. Di pari passo, questo ha fatto comprendere la necessità della salvaguardia dell’integrità dell’ambiente e del paesaggio, che nella vigna e nell’ulivo hanno gli emblemi di spicco anche ai fini turistici. I fermenti del vino hanno favorito lo sviluppo di una nuova coscienza critica tra i produttori, infatti, l’amicizia si dipana su un filo di non dichiarata e sottile contesa dei benefici effetti. I giudizi spingono a migliorarsi continuamente, a non adagiarsi sull’orgoglio più che giustificato per gli apprezzamenti degli esperti e del mercato. Il confronto  dialettico è di ottimo auspicio per il futuro. Il presente invece, conta su persone e moduli collaudati. Da Levanto fino ad arrivare all’anfiteatro romano di Luni, passando per la magia delle Cinque Terre. Pensiamo alla Villa del Chioso del Conte Nino Picedi Benedettini, nobile pioniere enoico a Baccano, dove ogni anno si tiene la Festa dei vini arcolani; all’Enoteca pubblica di Castelnuovo Magra; a Cà Lunae di Paolo Bosoni e alla sua raccolta di attrezzi agricoli ordinati in un apposito spazio espositivo; all’importante rassegna “Liguria da bere” che si svolge nel cuore della città della Spezia, l’ultimo week end di giugno,. È il mondo del Vermentino questo: di un vino che dispensa profumi e sapori sublimando le storie e gli umori di una terra antica.
Profumi di poesia. Sapori di sentimenti sinceri. Un vino unico, che manifesta lo spirito schietto della gente intelligente che lo produce.
Testo del progetto Vertourmer 

 

La viticoltura e l’archeologia livornese

La vite è coltivata in questo territorio fin dall’epoca etrusca. Le ricerche archeologiche mostrano chiari indizi del processo di specializzazione delle tecniche vinicole a partire dal secondo millennio a.C. Plinio il vecchio parla della città etrusca di Populonia come importante centro per la produzione di vino destinato al commercio esterno. Con la conquista romana della Tuscia litoranea comparvero nuovi insediamenti in cui venivano praticate l’agricoltura intensiva e la viticoltura.
Il parco archeologico di Baratti e Populonia
Con la caduta dell’Impero Romano vi fu un generalizzato periodo di abbandono del territorio della Maremma che fu ripreso solo a partire dal X secolo. Tuttavia solo a fine Settecento la zona si affermò per la qualità della produzione vitivinicola. Nella provincia di Livorno il valore del vino prodotto ha aumentato l’importanza e la notorietà di queste terre innescando un circolo virtuoso tra vino e territorio, incentivando le attività di marketing territoriale e dei prodotti e favorendo di conseguenza lo sviluppo di un turismo enogastronomico di qualità. Un importante strumento di promozione del territorio è la
strada del vino della Costa degli etruschi che interessa le aree vitivinicole del territorio provinciale. Cinque sono le DOC che si producono nella provincia di Livorno: DoC terratico di Bibbona, DOC Montescudaio,DoC val di Cornia, DoC Bolgheri e DoC Isola d’elba. I vitigni piùdiffusi sono il Cabernet sauvignon, Cabernet Franc e ilMerlot. Anche il sangiovese hauna discreta diffusione. Tra i vini rossi più famosi prodotti nella zona di Bolgheri non si può non citare ilsassicaia” diventato il simbolo della costa toscana e considerato uno dei vini più buoni del mondo, il “Bolgheri superiore”e gli altri grandi vini monovarietali, assurti da tempo ai vertici della fama mondiale come Masseto e Messorio (Merlot 100%), Paleo (Cabernet Franc 100%). Tra i vitigni a bacca bianca, il Vermentino è attualmente tra i più impiantati , con una tendenza in continuo aumento. Si tratta di un vitigno complementare nella produzione vitivinicola locale, ma storicamente presente in questo territorio.
Azienda Agricola Campastrello I Socci – Vermentino
La produzione dei vini bianchi toscani in passato era legata per lo più al Trebbiano toscano, vitigno che raramente possiede caratteristiche qualitative di finezza e aromaticità oggi richieste dai consumatori.
In Toscana il Vermentino è utilizzato per la produzione di diversi vini bianchi secchi, che assumono a seconda dei casi la denominazione DOC (come
nel caso di Bolgheri) o IGT Toscana o Costa di Toscana. I terreni di produzione sono tutti localizzati nelle zone collinari prossime alla zona costiera. Il
comune di Castagneto Carducci risulta quello con il maggior quantitativo di superfici vitate.
Castagneto Carducci
Da notare che la provincia di Livorno, rispetto alle altre province toscane, presenta la minor incidenza della superficie destinata a viticoltura rispetto al totale di quella coltivata (circa il 9%)

Rivista Cooperazione in Agricoltura – articolo “Dedicato ai soci, alla nostra gente”

Un articolo  di Martina Socci in memoria di Vico Socci  sulla rivista  Cooperazione in Agricoltura ” Dedicato ai soci, alla nostra gente”

 

articolo pagina 14/ 15

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La rivista “La Casana” parla di Noi

Un articolo di  Danilo Poggio che parla della nostra azienda agricola –  “La Casana” – il Periodico quadrimestrale di Banca Carige S.p.A. dal 1958 su arte,cultura, territorio, tradizioni,attualità, letteratura.

 

articolo da pagina 39 a 43

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Torre Donoratico

I ruderi del castello di Donoratico, monumento nazionale esaltato anche dal poeta Carducci, si raggiungono percorrendo la SS1 Aurelia fino a Donoratico, qui ci immettiamo sulla SP16 che attraversa il paese e proseguiamo in direzione Roma fino al bivio per Castagneto Carducci. Dopo circa 1 km svoltare a destra. Da quando il ristorante pizzeria ‘La Torre’ ha chiuso non ci sono indicazioni e l’area è privata.

I ruderi dell’alta Torre di Donoratico dominano un largo tratto del litorale tirrenico. Circondata dagli scarsi resti delle due cinte murarie che l’avvolgevano, dalle fondamenta dell’antica chiesa castrense e altri edifici venuti recentemente alla luce [sono ancora in scorso scavi archeologici – Clicca qua per visitare il sito dell’Università degli Studi di Siena Area di Archeologia Medievale dedicato a Donoratico] è ciò che resta dell’antico castello costruito dai Conti di Donoratico, i Della Gherardesca. Dalla metà 1100 divenne la loro sede privilegiata. La funzione del castello era quella di difendere questa parte delle coste dalle incursioni sanguinarie dei saraceni, dei pirati e dei nemici della Repubblica Pisana prima e, nel corso del 1400, Fiorentina poi.

Il ritrovamento di ceramiche e di un circuito difensivo ‘ciclopico’ [ovvero costruito con grossi blocchi di pietra], oltre alla presenza di tombe dello stesso periodo scavate nella roccia dei terrazzamenti sottostanti prova la presenza su questa altura di un’importante evasta fortezza etrusca. La prima menzione esplicita di un insediamento fortificato risale al 1176, ma l’esistenza del castello è sicuramente più antica e sembra, grazie alla datazione di reperti rinvenuti durante gli scavi appartenenti ad un insediamento ligneoprecedente al castello in pietra, risalga addirittura a prima del X° secolo.

La prima cinta muraria in pietra che si estende lungo i margini della sommita del rilievo, di cui rimangono numerosi tratti a sud-ovest e sud-est, risale alla seconda metà dell’XI° secolo. La pietra fu usata all’interno del recinto per la costruzione della chiesa, provvista di un’unica navata e ampliata nel secolo successivo. Nel corso del XII° secolo fu costruita una prima torre utilizzata come residenza fortificatadai Della Gherardesca, con solai lignei e copertura a volta in mattoni, in prossimità della chiesa insieme ad una nuova cinta muraria, più alta e più spessa, della quale restano ancora intatti alcuni tratti – sui versanti ovest ed est – e l’originaria porta principale a nord. L’area sommitale fu racchiusa in un secondo anello fortificato dotato di un’unica entrata aperta lungo il tratto sud-ovest. Anche la chiesa fu ampliata e abbellita. Nel secolo successivo fu costruita una nuova torre appoggiata alla preesistente. Fra il XIV° e il XV° secolo furono effettuati interventi mirati a fortificare le strutture preesistenti, costruendo in alcuni tratti dei muri a scarpa addossati al circuito murario, ma iniziò anche l’abbandono delle prime abitazioni. Il nucleo del castello fu fatto saltare nel 1447 dall’esercito di re Alfonso d’Aragona durante la sua discesa in Maremma.

Ancora oggi la torre principale si eleva per tutta la sua primitiva altezza con totalmente intatto il lato perimetrale sud e parte di quelli est e ovest. Sul lato est di questa torre si trova un’altra struttura i cui lati e aperture sono ancora ben leggibili. I due edifici rappresentano uno dei più importanti esempi di architettura medievale in questo territorio e costituivano la residenza signorile. Del borgo, distribuito concentricamente lungo i sottostanti terrazzamenti, sono identificabili tra la vegetazione e malgrado gli imponenti crolli, resti appartenenti agli edifici che lo costituivano. Durante i recenti scavi sono tornate alla luce pavimentazioni in cotto e pietra, i muri perimetrali della chiesa ed alcune colonne quadrate della sua navata.

La leggenda, avvalorata da Dante Alighieri, narra che abitò qui anche quel Conte Ugolino che a Pisa fu fatto morire di fame con i figli e i nipoti (La Divina Commedia – Canto XXXIII dell’Inferno). Il grande poeta Giosuè Carducci, che trascorse la sua gioventù in queste terre, volle esaltare la Torre di Donoratico con questi versi: “Ricordi Populonia, e Roselle, e la fiera Torre di Donoratico a la cui porta nera Conte Ugolin bussò, Con lo scudo e con l’aquile e la Meloria infrante, Il grand’elmo togliendosi dalla fronte che Dante Ne l’inferno ammirò Or (dolce alla memoria) una quercia su’l ponte Levatoio verdeggia e bisbiglia, e del Conte Novella il cacciator Quando al purpureo vespero su la bertesca infida I falchetti famelici empiono il ciel di strida E il can guarda al clamor…

 

Fonte: castelli toscani

 

Castello di Donoratico – (Castagneto Carducci, LI)

Ricostruzione dei ruderi del castello

 

Castello di Donoratico

La prima menzione esplicita di un “castrum” risale al 1176, ma il ricordo di “domini de Donoratico” già nel 1161 fa presumere che l’esistenza del castello sia più antica

La chiesa castrense è documentata dal XII secolo, mentre quella di S. Colombano, attestata sin dal secolo XI tra i possedimenti di S.Pietro a Monteverdi, era situata, come risulta da un atto del 1263, “iusta castrum in plano ipsius castri”.

Alcuni atti della seconda metà del XII secolo testimoniano la compresenza di diritti sul castello tra diversi soggetti signorili: un ramo dei conti Gherardeschi ed il monastero di S.Pietro in Palazzuolo.

Dalla seconda metà del XII secolo l’insediamento diviene sede privilegiata del ramo più importante dei conti Gherardeschi che, successivamente, prese il nome dal castello.

Nel 1270 il castello di Donoratico fu occupato dai conti di Biserno, ribelli al comune di Pisa ed appoggiati dalle forze guelfe e angioine. In questo periodo, accanto all’area sommitale vi era un “burgus”, indice di una certa consistenza demica dell’insediamento.

Nel corso del XV secolo, come i limitrofi centri anche il castello di Donoratico passa sotto il dominio fiorentino in concomitanza al graduale abbandono delle aree più limitrofe dell’insediamento.

Castello di Donoratico – Topografia

Nell’area sommitale si eleva per tutta la sua primitiva altezza una torre di cui si conserva totalmente il lato perimetrale sud e parte di quelli est e ovest.

Immediatamente adiacente al lato est di questa torre si trova un’altra struttura turriforme i cui lati e relative aperture sono ancora ben leggibili.

I due edifici, databili tra il XII ed il XIV secolo e che rappresentano uno dei più importanti esempi di architettura medievale in questo territorio, facevano parte dell’area signorile dell’insediamento.In base ad un assetto che si ripete in tutti i castelli di quest’area l’insediamento era infatti costituito da una zona sommitale, dove si trovavano gli edifici di residenza signorile e un sottostante borgo, distribuito concentricamente lungo i sottostanti terrazzamenti e difeso da una cinta muraria in pietra.

 

Resti monumentali della torre

A sua volta anche l’area signorile era cinta da un ulteriore circuito difensivo, come nel caso di questo castello, dove proprio vicino alle torri sopra descritte sono ben visibili i resti della cinta e della porta che immetteva nell’area alta.Tracce invece del circuito difensivo del borgo sono riconoscibili sui versanti ovest, est e nord in cui si conserva ancora una delle porte di accesso principali al castello. Tra la vegetazione, malgrado gli imponenti crolli, si riconosce inoltre l’andamento di molti muri perimetrali appartenenti a probabili edifici che componevano il borgo.

Castello di Donoratico – Lo scavo

Durante le campagne di scavo 2000 e 2001, nella zona sommitale sono state aperte quattro aree (1000 – 2000 – 4000 – 5000) all’interno dell’originaria area signorile e nei terrazzamenti ad ovest di quest’ultima.

In contemporanea è stato avviato lo scavo di due grandi aree (3000 – 7000) poste a ridosso della porzione sud-ovest e sud-est interna al circuito murario in corrispondenza dello spazio originariamente occupato dal borgo.

Le aree di scavo

A queste attività è seguita la ripulitura del sottobosco in corrispondenza dell’area sud-est del borgo finalizzata a riportare in luce le evidenze murarie non ricoperte da depositi di terreno, in seguito posizionate nel rilievo generale dell’insediamento.

Il deposito sinora scavato ha evidenziato una complessa sequenza stratigrafica relativa ad un arco cronologico compreso tra IV-III secolo a.C. e XV secolo.

La presenza di ceramica di età ellenistica ricollegabile ad un ampio circuito difensivo in grossi blocchi di pietra, ancora parzialmente conservato, legato alla presenza di tombe coeve scavate nella roccia dei terrazzamenti sottostanti, costituisce la prova dell’esistenza su questa altura di una fortezza di età etrusca di notevole ampiezza la cui indagine costituisce uno dei futuri obiettivi di questo progetto di ricerca.

Castello di Donoratico – Lo scavo-Insediamento in legno (ante X secolo)

buche di forma circolare

A questa fase sono legate numerose evidenze in negativo riportate in luce sia nell’area sommitale (aree 4000 e 5000) sia nella zona del borgo in prossimità del circuito in pietra bassomedievale. Le buche di forma circolare, interpretabili come originari alloggi di pali sono la testimonianza della presenza di un insediamento ligneo di notevole estensione precedente l’impianto del castello in pietra.

Il proseguimento dell’indagine archeologica, durante la campagna 2002, consentirà di approfondire l’analisi di queste tracce in modo da collegarle ad un più preciso assetto abitativo.

indagine archeologica

La loro datazione, per il momento legata ad elementi cronologici relativi, è collocabile anteriormente al X secolo.

 

 

 

Castello di Donoratico – Lo scavo – X secolo

Rilievo della Chiesa in corso di scavo. In blu la Chiesa di metà X secolo.

Alla seconda metà di questo secolo si colloca un’importante ridefinizione dell’assetto insediativo. Venne infatti costruito un muro di cinta in pietra legato da malta di calce che si estendeva lungo i margini dell’intero pianoro sommitale e di cui rimangono a testimonianza numerosi lacerti nei tratti sud-ovest e sud-est del circuito.Mentre all’interno della cinta si continuava ad abitare in capanne lignee (come attesta il ritrovamento di buche di palo databili a questa fase) nella zona sommitale, vicino alle successive torri signorili, fu edificata una chiesa provvista di un’unica navata monoabsidata.

L’edificio religioso, di ridotte dimensioni (m. 12,20 x m. 5,20) aveva l’abside orientato a nord-ovest e la facciata principale a sud-est. Delle originarie architetture rimane oggi traccia nel lato perimetrale ovest (conservato per l’altezza di circa un metro), nell’abside, nella facciata successivamente rasata poco sopra le fondazioni e in parte del lato perimetrale est.

I resti testimoniano l’uso della pietra e malta di calce associabile alla presenza di gruppi di maestranze che lavorarono ed apparecchiarono le murature con tecniche diverse, indicative di una maggiore e minore specializzazione.

Un pavimento con lastre in calcare di medie e piccole dimensioni (di cui è conservato un ridotto lacerto) copriva l’area interna dell’edificio a cui si accedeva da un ingresso posto nel lato est. Le successive trasformazioni non permettono di verificare le caratteristiche architettoniche dell’area interna absidale.

Castello di Donoratico – Lo scavo – XI secolo

 

 

Rilievo della Chiesa in corso di scavo. In blu la Chiesa di metà XI secolo.

Alla seconda metà di questo secolo si colloca una consistente trasformazione della chiesa che venne ampliata nel suo perimetro con l’aggiunta di una seconda navata contigua all’originario lato est.

La navata, di minore ampiezza della preesistente (m 3,80) fu provvista di un’abside parallelo al primo (m2 11) ma di dimensioni leggermente più piccole (m2 6,80).

La presenza di una grande porzione di volta della torre signorile crollata proprio in corrispondenza di questa seconda area absidale, non ha consentito di effettuare indagini necessarie per verificare le sue caratteristiche strutturali ed architettoniche.

Durante lo scavo della restante navata si è verificato però come questa raddoppio riguardò solo la larghezza dell’edificio mentre la facciata non subì ulteriori ampliamenti.

Anche in questa fase i piani pavimentali furono realizzati con lastre di pietra che si sovrapposero al pavimento più antico.L’ampliamento non comportò un cambio di accesso che fu sempre mantenuto lungo il lato est in asse con il preesistente.

Castello di Donoratico – Lo scavo – XII secolo

Ricostruzione grafica della Torre (Studio InkLink Firenze)

 

Durante il secondo cinquantennio di questo secolo, avvenne una totale ridefinizione dell’intero assetto insediativo.

Un’alta torre provvista di solai lignei e copertura a volta in mattoni, utilizzata come residenza fortificata dai Della Gherardesca, fu costruita in prossimità della chiesa, in connessione con l’edificazione di una cinta alta di cui rimane oggi ancora visibile l’originario l’accesso ed alcuni suoi tratti.

 

Contemporaneamente, seguendo un tracciato leggermente più ampio della cinta di X secolo, fu costruito un nuovo circuito murario inferiore a difesa del borgo, provvisto inizialmente di un’unica entrata monumentale lungo il tratto sud-ovest.

Le trasformazioni riguardarono anche la chiesa che venne ampliata in facciata di circa due metri e provvista di un nuovo livello pavimentale in cocciopesto, mentre internamente, al centro delle due navate, furono realizzati dei pilastri quadrangolari posti a distanze regolari come base per l’imposta di archi in pietra a sostegno del tetto.

Particolare di uno dei pilastri della Chiesa

In quest’occasione fu probabilmente realizzata una nuova entrata, oltre quella laterale, posta al centro della nuova facciata.

Castello di Donoratico – Lo scavo – XIII secolo

 

 

L’attività edilizia che aveva contraddistinto il precedente periodo sembra non conoscere considerevoli soste anche in questo secolo.

La nuova torre sommitale

Poggiata alla preesistente torre sommitale ne fu costruita una nuova.

All’interno della chiesa la chiusura, con muretti in pietra e mattoni, dello spazio antistante l’abside più antica, coincise con la definizione di un’area destinata a sepolture.

In quest’occasione, alla fine del XIII secolo, tagliando il preesistente pavimento in cocciopesto fu realizzata una tomba in muratura addossata al nuovo muretto dove in un primo tempo fu deposto un unico individuo a cui fece seguito, nei primi decenni del XIV secolo, l’inumazione di altri quattro cadaveri.

La realizzazione della tomba fu contemporanea anche ad un rialzamento di quota del piano absidale, ora raggiungibile attraverso una scalinata in pietra.

Dei muri definirono uno ampio spazio esterno antistante la facciata di ancora ignota funzione, oggetto di indagine nella prossima campagna di scavo.

Particolare della tomba all’interno della Chiesa

Nel borgo le nuove trasformazioni sono individuabili nell’edificazione di nuovi muri perimetrali delle abitazioni o nella realizzazione di divisori interni con relativo rialzamento dei piani di calpestio.

 

In questo periodo è più facilmente leggibile anche una sorta di divisione funzionale degli spazi insediativi. Nella porzione sud-est del borgo dove già preesisteva un pozzo legato forse all’originaria fortezza etrusca, al piano terreno di un edificio qui situato, fu infatti realizzata una grande vasca in pietra necessaria alla macinazione del grano.

Castello di Donoratico – Lo scavo – XIV e XV secolo

Nel primo cinquantennio del secolo si registra ancora una certa vitalità dell’insediamento. All’interno delle abitazioni del borgo si ridefinirono nuovi piani pavimentali (totalmente in mattoni nel caso di un ambiente adibito a magazzino, in prossimità dell’area sommitale).

Particolare di un’inumazione in fossa terragna

Nella cinta inferiore furono effettuati interventi mirati a fortificare le strutture preesistenti, costruendo in alcuni tratti dei muri a scarpa addossati al circuito murario.
All’interno dello spazio antistante la prima abside si continuò a inumare nuovi individui in fosse terragne, rialzando ulteriormente il piano di calpestio.

In base ai dati sinora acquisiti dalle indagini antropologiche ancora in corso, negli individui adulti appartenenti a questo gruppo si riscontrano elementi in comune relativi a caratteri fisici e al tipo di nutrizione.L’età media di morte sembrerebbe collocarsi tra i 40 ed i 45 anni.
E’ intorno agli ultimi decenni del secolo, iniziando dalle abitazioni poste ai margini del borgo, addossate al tratto sud-ovest della cinta, che si registrano i primi abbandoni.
Negli edifici posti nei terrazzamenti sottostanti l’area sommitale l’uso degli ambienti interni come stalla o magazzino si protrasse invece sino ai primi decenni del XV secolo.

Pavimentazione in mattoni di un magazzino

In contemporanea a questo graduale processo di abbandono, alla fine del XIV secolo, nel preesistente pavimento in cocciopesto della chiesa furono tagliate fosse per la sepoltura di più individui. Questo uso si prolungò sino nei primi decenni del XV secolo, quando la chiesa divenne ormai inutilizzabile a seguito del crollo del tetto. Le ultime inumazioni furono ricavate scavando delle fosse proprio nel crollo della copertura.
Alla metà del XV secolo l’insediamento doveva essere quasi totalmente abbandonato ad eccezione di una sporadica frequentazione nelle aree intorno alla chiesa.

torre- Ricostruzioni grafiche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: http://www.paesaggimedievali.it/luoghi/Donoratico/DO8.html